Per i genitori sorgono gli obblighi di cui all’art. 147 c.c. (“…di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli…”); il figlio assume il cognome ei genitori o di uno solo di essi, ed il genitore acquista la responsabilità genitoriale sul minore.
Il riconoscimento può essere effettuato, a pena di nullità dell’atto (art. 254 c.c.):
- con denuncia nell’atto di nascita;
- con dichiarazione posteriore alla nascita o al concepimento resa ad un ufficiale di stato civile o per atto pubblico ad un notaio;
- con dichiarazione mediante testamento (anche olografo) con conseguente irrevocabilità della dichiarazione, anche a seguito della revoca del testamento.
Nel caso in cui la domanda di legittimazione sia presentata al giudice o la dichiarazione di voler riconoscere il figlio naturale sia espressa in atto pubblico o in testamento, esse comportano comunque riconoscimento anche quando non intervenga successivamente la legittimazione.
Quando, infine, il riconoscimento non sia avvenuto o sia stato effettuato da uno solo dei due genitori naturali, il figlio può esperire l’azione di dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione, al fine di far accertare la sussistenza di tale rapporto e secondo gli artt. 270 – 273 e 276, legittimati attivamente sono il figlio (in ogni tempo), i suoi eredi entro due anni dalla sua morte o, sempre in nome del figlio, il genitore che esercita la potestà sul minore (e che, quindi, ha già riconosciuto il nato), nonché il tutore – in questi casi, però, è richiesto il consenso del minore ultrasedicenne -, mentre convenuto è il presunto genitore o, in sua mancanza, i suoi eredi.
Il rapporto di filiazione può essere provato con ogni mezzo, e così, mentre quando si deve provare la maternità è sufficiente che si dimostri che colui che esercita l’azione è anche colui che è nato dalla donna che si assume essere la madre, per la dichiarazione giudiziale di paternità, la prova è più complessa, non essendo sufficienti nemmeno le dichiarazioni della madre e la prova della sussistenza di una relazione sentimentale tra la madre e il presunto padre al tempo del concepimento.
Prove come quelle genetiche, ematologiche e somatiche – ferma restando la possibilità di valutare anche il rifiuto di sottoporsi all’esame ematologico quale comportamento rilevante ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c. -, insieme con altri elementi, come l’eventuale stabile convivenza tra madre e presunto padre al tempo del concepimento, costituiscono presunzioni che devono essere attentamente valutate dal giudice, il quale potrà dichiarare giudizialmente la sussistenza del rapporto di filiazione naturale solo in forza di presunzioni gravi, precise e concordanti.
La sentenza avrà gli effetti del riconoscimento, stabilendo lo status di figlio naturale del nato e tutti i doveri, i diritti e gli obblighi, personali e patrimoniali, derivanti da tale qualità (art. 277 c.c.).